Intervista doppia: Giorgio Serci e Francesco Saiu
Giorgio Serci, io e Francesco Saiu Foto di Antonio Saba |
In
occasione del loro primo incontro, i chitarristi Francesco Saiu e Giorgio Serci
si sono trovati in una località molto suggestiva: San Sisinnio a Villacidro, un comune sardo del Medio Campidano in cui, oltre alla chiesetta campestre, si possono ammirare degli ulivi ultracentenari. In questo luogo intriso di silenzio e storia, le loro chitarre si
sono incontrate per la prima volta. Ho avuto il piacere di assistere al
concerto improvvisato e ho scambiato con loro quattro chiacchiere..
F. Essendo di Villacidro vengo spesso
qui quando sono in vacanza, in particolare il mattino presto o il primo
pomeriggio, perché non c’è nessun rumore della città, qui regna il silenzio.
G. Questo luogo è magico, mi fa
tornare bambino, mi vien quasi voglia di correre e giocare ad arrampicarmi
sugli alberi, nonostante io sia di San Gavino non ero mai stato qui.. si
percepisce che il luogo ha visto moltissime persone prima di noi se ci pensi fa
venire la pelle d’oca.
Quanto
ha inciso l’essere isolani nella vostra arte?
G. Sicuramente ha inciso nella ricerca
della semplicità della composizione e nella ricerca del silenzio,
dell’essenziale. Esistono in quest’isola moltissimi luoghi in cui si può
sentire il suono del vento e del mare che hanno delle ripercussioni,
spero positive, sul mio modo di scrivere. Ho recentemente inciso un disco in
compagnia dell’artista sarda Filomena
Campus, che in qualche modo riflette il piacere di stare in Sardegna: le
canzoni sono ispirate ai colori, agli odori e alle sensazioni tipiche di
quest’isola, quindi la mia risposta è SI, ha decisamente inciso.
F. Nell’improvvisazione l’impronta di
questa terra è molto forte e devo dire che la percepiscono più gli altri che
noi, per esempio qualche volta, dopo aver suonato, mi chiedono se sono sardo, perché a quanto
pare c’è una sorta di matrice comune che
gli altri sentono e noi no; parlando con altri amici musicisti con cui mi
capita di suonare, come Bebo Ferra, ho avuto la conferma che anche a loro vengono
fatte osservazioni simili. Forse questa è proprio una radice forte che abbiamo
dentro, qualcosa di antropologico.
G. Condivido, forse è quella ricerca
della melodia e dell’essenziale di cui parlavo prima, no? Le melodie, rifletto
ora su questa cosa, forse si portano dietro un po’ di quest’isola; è bello
comunque non porsi troppe domande e lasciar decidere all’ascoltatore!
F. Concordo!
Giorgio Serci e Francesco Saiu Foto Antonio Saba |
Forse
ognuno coglie una sfumatura diversa..
F. Si parte, inevitabilmente, da una
matrice mediterranea, penso per esempio a Salvatore
Majore, e poi nella vita si fanno altre esperienze e si mettono dentro
anche altre cose. Il suono tipico della canzone sarda quand’ero ragazzino mi
annoiava, però pian piano ho scoperto cose fatte dai grandi e mi son reso conto
quanto al suo interno ci siano quegli elementi essenziali di cui parlava
Giorgio, ma li ho capiti solo quando ho raggiunto la maturità.
A proposito di silenzio, Giorgio, tu sei stato anche a New York..
G. Sono stato due volte a New York, ho
registrato un disco che si chiama New York Session, non è molto originale, ma
era il nome più facile che mi è venuto in mente. Anche quello è un posto
magico, in cui però il silenzio si fa desiderare, anche se Central Park, un
parco vastissimo all’interno della città, quasi azzera i suoni metropolitani.
Anche questo posto ha la sua magia ed è associato a composizioni più dinamiche.
È importante visitarla, soprattutto per i jazzisti, ma non solo; i concerti non
son retribuiti a dovere quindi si suona per pagarsi l’affitto, ma ne vale la pena,
è tipo la Mecca degli artisti.
In
chiusura, per racchiudere un po’ il senso di tutto il discorso, vorrei
chiedervi cosa rappresenta il viaggio, per voi che, ragazzini, siete andati via
con una chitarra in spalla..
Francesco Saiu, Foto Antonio Saba |
Giorgio Serci Foto Antonio Saba |
G. Condivido tutto ciò che ha detto
Francesco e in più la cosa bella è che devi per forza avere un’apertura mentale per
imparare dalle persone, immergerti nelle nuove culture, che all’inizio devi
abbracciare. In questo caso l’insularità potrebbe essere una condizione
negativa di chiusura. Eric Roche, un
amico musicista purtroppo scomparso, diceva sempre, la musica è un linguaggio,
ma saper suonare ad arte uno strumento non implica l’avere qualcosa da dire, e
questo è vero, talvolta i musicisti sono solo “chiacchiere e distintivo”.
L’importanza del viaggio è quella di abbracciare, assorbire, attingere, da
tutte le esperienze che ci riserva. Se io e Francesco ci siamo trovanti così
bene dipende sicuramente da percorso che abbiamo fatto fin’ora.
F. Consiglio a tutti gli artisti di
uscire dall’isola, per confrontarsi, qui siamo pochi, è necessario muoversi,
anche solo prendendo un aereo per vedere un concerto.
Che
non significa necessariamente vivere fuori, ma riuscire ad aprire la mente,
grazie a nuovi stimoli..
G. In questo la tecnologia oggi aiuta, anche
se può essere un’arma a doppio taglio; è importante non dimenticare che nella vita c’è
anche altro come fare una passeggiata, leggere un libro.. però detto questo la rete è molto utile per “conoscere”.
Quello che ha detto Francesco è molto importante.
Un
po’ di "analogico" ogni tanto ci vuole… (risate)
La
nostra chiacchierata è giunta al termine, impreziosita da improvvisazioni e da
un anima gentile che, con il consenso del parroco, ci ha aperto le porte della
suggestiva chiesetta campestre dove i ragazzi hanno suonato portandomi, con la testa, da
un'altra parte e in cui l’ incredibile acustica ha emozionato anche loro.
Ringrazio Francesco per avermi invitata a quest’esperimento di conoscenza e
suoni: è stata una mattina splendida che ricorderò per molto tempo. Giorgio,
sembrava di conoscerlo da sempre, con i suoi modi pacati, un po’ inglesi, e
quello sguardo di un bambino in un dì di festa mentre camminava tra gli ulivi
secolari. Un ringraziamento va anche al nostro super fotografo, Antonio Saba.
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