Intervista. Faris Amine: il Sahara, la chitarra, il Mississippi - Seconda Parte

Ecco la seconda parte dell'intervista a Faris Amine, artista Tuareg che ha collaborato con i Tinariwen e Terakaft, ha inoltre collaborato con David Rhodes per un disco registrato alla NASA e ha recentemente pubblicato il suo ultimo disco, Mississippi to Sahara. Faris Amine in Mississippi to Sahara reinterpreta  a modo suo 10 pezzi classici del Blues americano, riscrivendo i testi e suonandoli nello stile Assouf, un genere che desrcrive un sentimento di perdita e nostalgia tramite uno strumento non tradizionale tra i Tuareg: la chitarra. Nella nostra lunga e interessantissima chiacchierata abbiamo parlato di moltissime cose, ecco la trascrizione della Seconda parte dell'intervista.

Tu come vivi la religione, essendo un artista..
È una cosa spirituale e non che riguarda la polizia e cose del genere, riguarda lo spirito umano ed è una forma di nutrimento, non dovrebbe servire per giudicare gli altri.
Personale ma spesso  inspiegabilmente motivo di odio..
Io sono musulmano e la mia cosmogonia è musulmana ma mi confronto apertamente e tranquillamente con gli altri. Fra i tuareg la donna è forse più libera degli uomini, pensa che gli strumenti musicali più nobili possono suonarli solo le mani delle donne. Fra i Tuareg la religione è sempre stata vissuta in maniera tollerante verso gli altri...
Faris Amine e Leo Bud Welch ©-Giacomo-Lagrasta
Faris Amine e Leo Bud Welch, foto di Giacomo Lagrasta
Quando sei stato conquistato dal Blues?
Il blues è una cosa che sentivo già nelle musiche di mia madre e quindi mi è familiare da sempre. Nel Blues c’è una sensibilità, un qualcosa che mi tocca profondamente ma in realtà spesso non ne ho chiaro il perché.  Leo Bud Welch, che ha suonato nel disco, non voleva cantare il testo della canzone uguale identico all’originale, e chiacchierando una sera mi ha detto “Faris, per me il Blues è una cosa molto semplice: il blues non è nient'altro che un uomo buono che sta male”. Questa frase bellissima, che lui canta anche nel disco, mi ha fatto capire perché il Blues mi colpisce così tanto e non mi sento di aggiungere nulla a questo.
A proposito di Leo, nel tuo book ho letto una frase molto bella in cui dici “ qualsiasi cosa lui faccia, anche solo battendo le mani, ha qualcosa di Blues”..
Per me il termine Blues e Bluesman sono termini molto abusati, cioè oggi tutti si sentono bluesman, invece no, non è così. Leo è un vero Bluesman. Certi concetti sono molto difficili da spiegare con le parole, anche l’Assouf è un sentimento che non tutti posseggono e di certo il Blues non è un colore o una cosa comunitaria ma dipende dal vissuto e dalla sensibilità di ognuno.
Anche nel book si parla di come a un certo punto la musica Assouf passi dall’essere comunitaria all’essere individuale.
Questo mi fa stare bene nello stile Assouf, la musica contemporanea Tuareg non è come tanti altri generi musicali africani e anche in questo è simile al Blues, nell’Assouf è il compositore che parla di se stesso, delle sue opinioni e dei suoi problemi.
In Mississippi to Sahara non si suonano semplici cover e questo tendi a precisarlo anche nel book. Tu hai preso i pezzi Blues americani a cui sei più legato, hai arrangiato la musica e riscritto i testi risultando molto diverso eppure uguale agli originali..
Per me quelle son diventate canzoni mie, non le sento come cover perché fanno parte di me e al contempo le ho ricreate, in qualche modo. Non so sempre spiegare bene le cose, le parole sono più pericolose della musica.
Faris Amine, foto di Claudia Bonacini
A me la cosa risulta chiarissima e apprezzo questo tuo modo di vivere la musica. Dopo aver ascoltato il tuo disco mi son riascoltata le versioni originali una dietro l’altra in sequenza ed è impressionante come il risultato sia da un lato diversissimo e dall’altro coincida perfettamente..
Questo è un disco che mi è stato cucito addosso davvero. Il fatto che io sia meticcio e poter riunire due cose che sono già unite... 
River of Gennargentu vorrebbe chiederti come è stato suonare con Leo Bud Welch..
Avevamo un appuntamento in studio proprio per le prime sessioni di registrazione del disco e non ci eravamo mai visti prima. Io mi aspettavo di incontrare un americano, invece ho trovato un africano e sul momento la cosa mi ha sorpreso perché con lui era come essere in Mali ai festival nel deserto, le cose che mi aspettavo non coincidevano quindi bisognava usare un codice diverso, mi ha davvero piacevolmente sorpreso. Questo disco per me sono un sacco di cerchi che si chiudono perché il Blues arriva dall’Africa e loro (gli americani) non so come ma son riusciti a tenere vivo lo spirito originario. Non so come, perché gli Stati Uniti sono uno dei Paesi più moderni in assoluto.
La prefazione di Andy Morgan..
Grande giornalista musicale inglese, fotografo e manager dei Tinariwen, la sua prefazione è stata per me una bella soddisfazione perché con i Tinariwen ho un rapporto particolare, soprattutto con Ibrahim. Ibrahim rappresenta l’Assouf, quel modo particolare d’essere sensibili. Morgan ha voluto scriverla e mi ha fatto molto piacere.
A proposito dei Tinariwen se non ho letto male vi siete conosciuti durante una Jam Session..
Tendenzialmente noi musicisti Tuareg ci conosciamo tutti e i Terakaft (gruppo in cui Faris ha suonato) sono una costola dei Tinariwen. Loro erano i pionieri, la prima generazione Assouf e i Tinariwen mi hanno subito “adottato” quindi ho passato tanto tempo con loro. I ricordi più belli in loro compagnia sono questi piccoli concerti, le jam sessions con le chitarre acustiche in mezzo al deserto cui c’era una semplicità che io non voglio perdere e che non ho trovato sempre nei grandi palchi.
River of Gennargentu chiede, quali sono i tuoi Bluesman americani preferiti?
Skip James moltissimo, fammi pensare son domande difficili, Robert Johnson, Muddy Waters, Ray Charles, Vera Hall. Ecco forse Skip è il mio preferito dei Pionieri, e mi fermerei qua.
La prossima domanda l’ho pensata dopo aver sentito Mississippi to Sahara la prima volta. Ho poi letto in un secondo momento il Booklet e ho visto, con estremo piacere, che ne parli anche tu.. In che rapporti sei con Jimi Hendrix?
Lo ascolto quasi quotidianamente, ho imparato a suonare la chitarra grazie a lui e ho un rapporto quasi familiare. Era un grandissimo compositore, era un poeta, un cantante e indubbiamente anche un grande chitarrista. Era il suo ritmo che mi trasportava, pezzi come Hey Joe hanno un groove che fa paura.
Io dopo aver concluso il disco ho pensato subito a lui a che rapporto Faris Amine, musicista Assouf, potesse avere con Hendrix. La domanda era inconsapevole ma probabilmente inconsciamente ho colto qualche piccolo riferimento..
Credo che verrà fuori sempre di più. Prima di incidere questo disco ho avuto bisogno di tornare nel Sahara e stare lì per un po’ e in pratica è come se avessi fatto pari con tutte le mie radici. Il mio modo di fare musica è cambiato. Recentemente ho suonato per la Nasa con David Rhodes..
Hai suonato per la NASA?
Ho suonato per un album che uscirà principalmente a nome di David Rhodes, che è dall'80 il chitarrista di Peter Gabriel, e va in tour con Kate Bush, Paul McCartney e tanti altri. Il disco si chiama The Fermi Paradox ed è finanziato dal Jet Propulsion Laboratory della NASA. In pratica cercavano musicisti per divulgare le ultime conoscenze acquisite sullo spazio e io ho scritto due canzoni che gli son piaciute e mi hanno chiamato in studio con loro. Insomma un bel giro, Sahara, Sardegna, Reggio Emilia e poi lo Spazio! All’interno del disco ci saranno nuovi pezzi in inglese perché ormai sto scrivendo anche in questa lingua. In pratica ho una parte di repertorio in tamasheq e un’altra in inglese. Non vedo l’ora di registrare il prossimo disco, anche se molti mi dicono come faccio a pensarci mentre ancora sto in tour per questo..
In realtà credo sia una cosa molto comune tra voi artisti, essendo appassionata leggo mole biografie e per esempio… non so gli Stones, che hanno 52 anni di carriera alle spalle, hanno scritto i loro dischi mentre erano in Tour per quello precedente e forse è anche giusto, insomma perché bloccare la creatività?
Esatto, io scrivo quasi ogni giorno anche se solo qualche nota o un appunto, in tanti posti e luoghi diversi e adesso ho il desiderio di scrivere qualcosa che riguardi me e che allarghi gli orizzonti. Non so come spiegare, non voglio rappresentare niente o nessuno se non me stesso.
Faris Amine foto di Pierre David
Faris Amine foto di Pierre David
Qual è l’ultimo album che hai ascoltato? Mi consiglieresti un disco?
L’ultimo in ordine di tempo è Giant Steps di John Coltrane, e anche White Lies For Dark Times di Ben Harper. Quello che ti consiglio invece è Abacabok dei Tartit, un gruppo molto femminile Tuareg, gli unici a suonare la musica tradizionale con strumenti tradizionali.  Son stato con loro tanto tempo e nella loro musica si sentono chiaramente le origini del Blues americano. È impressionante la similitudine, più di altre musiche tradizionali dell’Africa. Questo discorso mi affascina molto, anche Scorsese nei suoi documentari si è limitato geograficamente, non è andato a esplorare sino al Nord invece nella pentatonica, nel modo in cui le canzoni vengo strutturate ecc.. c’è una corrispondenza totale. Lì nel nord vi sono due etnie principali i Songhai e i Tuareg, ma non so perché i Tuareg non siano mai stati considerati nella ricerca delle origini del blues americano, forse perché sono troppo chiari di pelle per l'immaginario della gente che pensa che Africa sia solo qualcosa di molto scuro.






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