Intervista. Massimiliano Casu, musica e urbanistica partecipativa
Qualche tempo fa mi è capitato di venire a conoscenza di uno
dei tanti progetti di Massimiliano Casu che, partendo dallo studio dell'architettura, ha
esteso le sue ricerche alle dinamiche dell’incontro e della collaborazione
attraverso le pratiche musicali. Dietro gli eventi e le performance che lui e il grupal crew collective
organizzano, c’è una ricerca dedita allo studio dell’urbanistica partecipativa in cui la musica è lo strumento che stimola l'incontro, il dialogo e la
collaborazione nello spazio pubblico. Bell’idea, vero? Ho avuto il piacere di
scambiare due chiacchiere con Massimiliano, ecco la trascrizione!
Massimo
leggendo il tuo blog ho notato che ti occupi di moltissime cose,
partiamo dal pricipio, qual è il percorso che ti ha portato in Spagna?
Io ho studiato Architettura a Cagliari e mi sono annoiato
parecchio, credo sia una cosa comune a tanti studenti perché, almeno quando
frequentavo io, non era la facoltà più stimolante del mondo. A un certo punto
mi sono interessato di comunicazione e mi son traferito a Madrid per
frequentare un master in comunicazione e architettura appassionandomi di urbanistica partecipativa, inizialmente
in una direzione molto pratica e manuale. Ho poi voluto approfondire questa
disciplina che non ha mai trovato cittadinanza nei dibattiti sull’architettura
e per dirla tutta è stato più semplice organizzare alcuni progetti classificandoli
come artistici. Tieni presente che gli interventi che facciamo negli spazi
pubblici, come ristrutturare una piazza cercando di coinvolgere gli abitanti
del quartiere, sono sempre stati finanziati da Centri d’Arte e affini. Mi sono poi interessato d’Arte pubblica e da lì è stato un
cammino di estrazione degli elementi che mi interessavano: in tutte le pratiche
partecipative di costruzione urbana la cosa più importante è come si genera il dialogo tra i partecipanti e tra tutti
i linguaggi possibili per la comunicazione, uno dei più potenti è senz’altro la
musica.
Il più immediato
senza ombra di dubbio…
Si per varie questioni, la musica è un linguaggio non è
verbale e coinvolge molte cose come il corpo e le emozioni ed è senz’altro
molto efficace. Da profano, autodidatta
e un po’ da impostore ho iniziato a usare questo strumento per cercare di
raggiungere lo stesso obiettivo che si persegue con la costruzione urbana.
Sei in un limbo tra
pratica artistica, musica e architettura pubblica, ho capito bene?
Esatto, la musica è lo strumento che utilizzo per costruire
un ambiente urbano più partecipativo, collettivo.
Il tuo
percorso è passato dalla realizzazione architettonica materiale, quella del
“mattone” (uso questa parola con cognizione di causa) a un’idea di costruzione
immateriale, intangibile; è come se tu costruissi una piazza e poi la animassi
di persone
Si, però il cambio di prospettiva non è radicale. Quando
studiavo architettura mi interessavo di semiotica e il mattone non è mai
solamente un mattone…
Ovviamente, avendo studiato Storia dell’Arte mi sono approcciata all’architettura da un punto di
vista storico, artistico e umano, sia chiaro!
L’elemento simbolico della musica è presente anche nella
costruzione urbana per cui questo è solo un cambio di prospettiva. Per me la
musica, in particolare la pratica della
festa, sono un laboratorio architettonico dove la gente sperimenta nuovi
modi di relazionarsi e usare il corpo; attorno a queste dinamiche si può
costruire una città migliore.
È
un ottimo punto di
partenza e al contempo obiettivo per costruire una città diversa,
partecipativa. Essendo molto appassionata di musica sono stata spesso a
grandi
concerti, penso a Paul McCartney ai fori imperiali nel 2003 con 500.000
persone
o a Roger Waters con The Wall al Mediolanum e tanti altri. In quelle
occasioni
è assolutamente normale entrare in confidenza con perfetti sconosciuti
magari
mentre si fa la fila al botteghino o prima dell’inizio del concerto. In
queste situazioni ci si
sente avvolti da un senso comunitario familiare, si
indossa una divisa e si innesca una comunicazione naturale di
cameratismo. La
pratica della festa è in una dimensione simile ma meno organizzata,
penso al
palco, alle strutture fisse che dividono la band dal pubblico o le zone
all’interno
di uno stadio. La festa abolisce queste sovrastrutture.
Ci sono due aspetti che mi interessano molto uno è
l’universo del bass drop, momento più carico del pezzo che viene dopo una
salita graduale. Ci sono degli studi sociologici su come la gente si comporta in
situazioni collettive e proprio in quel momento si è individuata una totale
pienezza individuale accompagnata a una identità di gruppo diffusa e diluita.
Il momento in cui si
raggiunge il top sia come individui sia come collettività
Esatto. La tua pienezza individuale e al contempo la totale
fusione con la collettività è ciò che cerco con le mie pratiche musicali.
Parliamo delle tue
attività, spulciando sul tuo sito ho visto alcuni video molto interessanti il
primo era all’interno di un bar. Tu eri in consolle e nei tavoli c’erano dei
sensori che le persone potevano utilizzare per contribuire alla creazione del
pezzo
Questo progetto cerca ancora la sua identità. I sensori
rilevano le variazioni di capacità quando la gente mette la mano sopra, creando
un suono mentre io organizzo l’architettura del set. A volte. Penso, per
esempio, ai set di batteria riflettendo su come influenzino la partecipazione,
poi controllo le dinamiche tra le persone e i volumi. Il video che hai visto è
stato girato a Cagliari, al Bar Florio.
Uso anche altri strumenti come il video
tracking in cui una telecamera rileva i movimenti e da lì si attivano le
note. Questo è fondamentale quando lavori con bambini perché sono un pericolo
per i sensori fragili! Questa ricerca permette di osservare come le persone
usano il corpo, lo spazio e gli oggetti per comunicare. E poi mi diverto molto. La cosa bella è
l’aver trovato il modo per fare ricerca e lavorare su temi delicati in una maniera
molto semplice.
Sicuramente è una struttura semplice ma non mi pare che il tuo approccio lo sia, anzi...
Ti ringrazio, ci sono molti punti di vista al riguardo a me
piace riflettere bene, altri preferiscono l’improvvisazione, l’accesso
immediato. Annualmente facciamo una festa al Matadero di Madrid in un centro
d’Arte molto interessante, in cui ci sono dj
set collettivi: la gente si scrive e può mettere su la sua playlist con 3
dischi e ha il suo momento di gloria con tanto di video proiettato sui maxi
schermi. Gli facciamo vivere l’esperienza come quella dei grandi dj. La festa
in sé è molto semplice e molti dei partecipanti la vivono come una serata
divertente mentre per noi è una performance collettiva in cui si sperimentano
le gerarchie liquide e come possiamo
rendere compatibile l’essere il leader del gruppo mentre si è in consolle per
poi tornare tra il pubblico. È un esperimento anche su come teatralizziamo le
nostre azioni.
Devo aver letto
qualcosa sul tuo sito e benché io non abbia scritto domande, tra gli appunti ho
segnato “strade possibili”
Le cose di cui abbiamo parlato sono il cuore delle mie
ricerche e al momento non so definirne il futuro ma ci sto lavorando (ride),
però in termini di prospettive metterei l’accento sulle dinamiche dell’incontro e della collaborazione. Un’altra questione
che mi appassiona molto è quella del laboratorio
di idee, il laboratorio creativo. Per esempio qui a Madrid c’è un gruppo
che balla Salsa, i Salsodromo, in spazi abbandonati o recuperando piazze,
sempre negli spazi pubblici. Vorrei precisare che quando parlo di
collaborazione e partecipazione la cosa non ha sempre una valenza positiva, non
necessariamente l’incontro dev’essere una rimpatriata tra amici, può anche
scaturirne un conflitto. La musica è una delle prime questioni di conflitto.
Anche questa è una cosa molto interessante. Il dialogo non necessariamente deve
mettere d’accordo ma è molto importante per riconoscere le posizioni
dell’altro.
Un’altra delle tante cose
che mi hanno incuriosito è il progetto Demos, mi spieghi cos'è?
Demos nasce dal concetto di identità narrative, in pratica è come se l’individuo non esistesse se non c’è un interlocutore. In questo senso la musica è molto importante, quando la ascolti o la crei ti colloca, mettendoti in relazione con gli altri.
Demos nasce dal concetto di identità narrative, in pratica è come se l’individuo non esistesse se non c’è un interlocutore. In questo senso la musica è molto importante, quando la ascolti o la crei ti colloca, mettendoti in relazione con gli altri.
Registrazione Demos, Cagliari |
Se io avessi un
pezzo nel cassetto, come potrei partecipare?
Se passerete a Cagliari, vorrei partecipare!
Lanciamo un bando nelle varie città quando abbiamo le
risorse e le persone si iscrivono. In una sessione di tre ore si compone,
produce e registra il pezzo. C’è chi ha una canzone, un sogno e chi non ha
nessuna idea ma vuole partecipare.
Produciamo i dischi in cicli compatti per cui ogni città ha il suo. Ci
piace pensare che l’album sia un modo di raccontare i luoghi, le città in cui
sono fatti. Il progetto va molto bene, l’anno scorso l’abbiamo portato in 4
Paesi del centro e Sud America. Al momento dovremmo avere all’attivo circa 10
dischi. Li trovi su www.demos.international.
Se passerete a Cagliari, vorrei partecipare!
L’abbiamo già fatto! Io vivo la mia dimensione da espatriato
un po’ frustrato, quindi cerco sempre di portare lì i progetti che realizzo
altrove. A Cagliari il progetto Demos è stato realizzato a Sa Domu, una scuola occupata appoggiandoci
al laboratorio musicale di Danilo Casti,
quel disco è venuto un po’ più rumoroso degli altri ma è molto bello e
convive accanto ad altre 8 città del mondo tra cui Montevideo, San
Salvador, Madrid, Bogotà...
Massimiliano ha in ballo molti altri progetti che vi stupiranno, a questo proposito vi consiglio vivamente di fare un salto
sui suoi canali:
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